Carnaroli / Karnak, la legge che regola il commercio interno del riso deve essere equa e trasparente.

Una legge che disciplina il commercio di un prodotto agroalimentare ha l’obbligo di essere equa e trasparente nei confronti di tutte le componenti della filiera, dal produttore al consumatore finale. La garanzia di equità e trasparenza sta nell’etichetta che non può essere ambigua.
L’etichettatura del riso italiano prevede da sempre l’indicazione della varietà, sottoinsieme della sottospecie japonica che si distingue per caratteri propri che determinano all’atto del consumo importanti differenze. Ad esempio pur appartenendo alla sottospecie Japonica di Oriza Sativa L. le varietà Balilla e Carnaroli differiscono per una serie notevole di caratteri che li rendono due risi completamente diversi, sia nella morfologia che nelle proprietà di cottura. Le differenze fra le varietà vanno ben oltre la morfologia e il contenuto in amilosio e amilopectina, come si tende spesso superficialmente a fare. Nella formazione del granulo d’amido intervengono diversi enzimi, tre in particolare presenti in diverse isoforme sono responsabili della ramificazione dell’amido stesso. Proprio la ramificazione dell’amido è una delle ragioni che determinano le straordinarie peculiarità del riso tradizionale italiano. Particolarità che si riscontrano ampiamente nel risotto a patto di non limitare le sensazioni alla cottura del chicco e alla collosità. Tra le varietà di riso italiano ci sono una miriade di differenze meritevoli solo di essere esaltate e non di venire banalizzate nel segno dell’omologazione considerandole come gruppi o denominazioni di vendita. Un simile torto alla nostra storia, alla nostra cultura e alle nostre tradizioni una legge dello stato italiano non può farlo.
Carnaroli è e deve continuare ad essere esclusivamente il riso appartenente alla varietà chiamata e registrata con questo nome. Il Karnak è diverso, è un’altra varietà; è molto simile e questa somiglianza deve essere una risorsa e non un problema. Il Karnak deve essere definito con il suo nome o come riso tipologia Carnaroli. Chiamare e cioè etichettare il Karnak come Carnaroli è falso e lo sarà sempre anche se consentito dalla legge. Biologicamente il Karnak non è Carnaroli.
Il Karnak è un grande riso, chi l’ha creato, il dottor Eugenio Gentinetta è una delle persone più geniali che ha la ricerca italiana sul riso. Anche il Karnak merita di essere tutelato e non trattato da impostore. Il Karnak è una preziosa risorsa e dovrebbe a mio parere essere etichettato come Karnak (come peraltro fanno già alcuni produttori) oppure come riso “tipo Carnaroli” con la parola “tipo” in evidenza (non troppo ma nella parte frontale dell’etichetta) sulle confezioni per il mercato interno e in posizione marginale per quello estero (ex. scritta “Riso Carnaroli” frontale e “riso tipo Carnaroli” su un lato della scatola). Una differenziazione di questo tipo garantirebbe equità e trasparenza nei confronti della filiera intera compresi i consumatori.
Quanto ho scritto per Carnaroli e Karnak vale per Arborio – Volano, Baldo – Galileo e Sant’Andrea – Loto e altri similari e vuole essere una proposta per arrivare ad un’accordo di filiera per una nuova legge sul commercio interno del riso rispettosa dei diritti e della libertà di ogni componente del settore.

7 risposte a “Carnaroli / Karnak, la legge che regola il commercio interno del riso deve essere equa e trasparente.”

  1. appena fatto un brodo di gallina.. e nemenno tanto vecchia… per fare un risotto delle zucche portatami dalle Molise (prossimamente sul blog)..seguiro i tuoi cosigli!! grazie da Roma sotto l’acqua

  2. ..argomento delicato quello dell’etichettatura e delle leggi che la regolano.
    Dici bene, trasparenza ed equità.. “tipo Carnaroli” non mi piace: meglio Karnac e Carnaroli

    Se qualcosa è “tipo un’altra” è lì che bisogna stare attenti.
    Le caratteristiche che distinguono organoletticamente un riso da un altro non sono facili da individuare per il consumatore: io per esempio sebbene educato al buon riso dal ..tuo riso 😉 non mi accorgerei della differenza.
    E’ qui che la legge deve fare il suo lavoro ma anche tutti i protagonisti della filiera devono metter in atto i controlli necessari (consorzi di tutela ecc.)

    Tra un “extra vergine” ed un “olio d’oliva” probabilmente una gran parte delle persone non riuscirebbe a farne una distinzione organolettica e quindi si fida dell’etichetta scegliendo l’extra se vuole un prodotto migliore..
    il problema è che poi non c’è alcuna altra distinzione tra extravergine e extravergine.. il che provoca la giungla che c’è nel settore olio d’oliva.
    Poter mettere il tipo di olive da cui si ottiene l’olio aiuta ma non garantisce. Così come non garantisce la DOP se non ci sono controlli adeguati.

    Insomma Carlo, occhio, l’argomento è delicato ed importante per chi lavora in qualità ed in modo trasparente come te (noi).

    Un caro saluto e buon anno!

    p.s. Approfitto, ho terminato le scorte, puoi spedirmi una decina di kg di Carnaroli?

  3. Buondi. Concordo sulla delicatezza e soprattutto sull’importanza dell’argomento anche se non sono cosi’ esperto nel settore da poter entrare nei dettagli.
    Approfitto invece per chiedere se gli indirizzi di e-mail in alto a sinistra nella pagina sono sempre validi: ho inviato una e-mail (con contenuti personali) ad entrambi gli indirizzi ma non so se l’avete ricevuta. Grazie

  4. Buonasera !
    Prima di tutto non mi sembra il massimo della trasparenza e della correttezza scrivere …”“tipo” in evidenza (non troppo…” nonchè….” in posizione marginale per quello estero”.
    Perchè in evidenza, ma non troppo ? E’ così che si informa e si tutela il cliente ? Italia ed estero: due pesi e due misure ????
    Se il Karnak ha una sua dignità, perchè nasconderla ?

    Sull’argomento allego inoltre quanto riportato nella newsletter di un altro produttore risicolo. A parte la visione opposta, nel commento si fa esplicito richiamo alla scarsissima tenuta in cottura ma anche alla assai maggiore produttività…il che, scusi, mi fa pensare male…
    Cordialità,
    Giancarlo

    ….Esiste un riso di recente scoperta in laboratorio chiamato “Karnak”. Questa varietà è uguale al Carnaroli sia come risone che come riso bianco. Ha un pregio e un difetto: produce in campo molto più del Carnaroli,ma poi si squaglia
    drammaticamente in padella, senza avere minimamente la peculiarità fondamentale del Carnaroli (la tenuta di cottura).
    È in questi giorni in discussione in Parlamento un disegno di legge che consentirà di chiamare “Carnaroli” questo
    Karnak, elevandone peraltro la percentuale di rottura tollerata addirittura al 5% (la rottura nei risi di qualità è abbondantemente sotto al 2%) e senza indicare le sanzioni per eventuali inadempimenti….

  5. Sig. Giancarlo, mi rattrista che circolino newsletter come quella che lei ha riportato. Il Karnak non si squaglia in padella così come la maggior parte dei risi italiani. La discussione attorno alla nuova legge è seria, in gioco c’è l’equilibrio della filiera risicola ed il futuro di molte aziende. Un minimo di correttezza e di serietà nelle affermazioni che si fanno è indispensabile.

    Quanto alla mia proposta relativa al possibile uso della dicitura “Tipo”, è libero di dissentire. Il problema è trovare una soluzione che sia percorribile.

  6. …..grazie per l’attenzione ! Ho semplicemnente “postato” ciò che tutti possono leggere…. non ho aggiunto nulla: il produttore in questione non è l’ultimo arrivato. Da quasi profano comunque continuo a non capire almeno una cosa: se il karnak è …la pietra filosofale del riso, perchè nasconderlo dietro un “tipo” carnaroli? E poi, mi spieghi: perchè propone di aumentare ulteriormente la confusione sull’etichetta “estera” ? Il consumatore estero è di serie B?

  7. Sig. Giancarlo, le ultime notizie che mi arrivano parlano di proproste alternative alla mia che puntano su distinzioni del tipo “Carnaroli e Carnaroli superiore” oppure “Carnaroli e Carnaroli tradizionale”. A quanto pare l’unica opzione che viene scartata a priori è quella che prevede l’uso esclusivo del nome della varietà senza raggruppamenti; per intenderci la soluzione che sogno da sempre ma che purtroppo non si avvererà perchè la volontà della filiera è un’altra. Io propongo l’uso della dicitura “tipo” esclusivamente perchè come soluzione sarebbe per lo meno all’insegna della correttezza.
    Il mercato all’estero lo fanno gli importatori che vogliono principalmente risi tipologia Carnaroli o Baldo o Arborio o Sant’Andrea a determinati prezzi. C’è spazio per la nicchia in cui siamo inseriti anche noi ma riguarda una minima parte del commercio totale di riso di queste tipologie. Le varietà similari sono una risorsa importante in questo senso. La loro utilità non va trascurata perchè ci sono sempre degli equilibri di filiera con cui fare i conti (ne riparleremo a settembre quando conosceremo l’entità delle rimanenze presso i produttori del raccolto 2009).
    Non si nasconda infine dietro ad un “profano” e non mi attibuisca concetti mai espressi, che il Karnak sia la pietra filosofale del riso lo dice lei, io non lo penso affatto tant’è che non lo coltivo. Ciò che sostiene il produttore non ultimo arrivato da lei citato è comunque sbagliato, quando si disprezzano i prodotti altrui bisognerebbe avere almeno la dignità di dimostrare con fatti e prove ciò che si afferma.

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